LEONI

                                                 

Di e con Matteo Fantoni
Concetto luci e costume: Matteo Fantoni
Durata 16 minuti
Foto (Vincenzo Pioggia)
Foto (Sara Venuti)

Leoni è un debutto.
È la prima rappresentazione del pezzo che Fortunato Fiorucci (il personaggio) ha preparato per più di cinque anni nel suo garage. Ecco quindi il risultato di anni di lavoro in solitudine, di serale allenamento, di prove, di conquiste, di errori e di verifiche, per arrivare, forse, alla fine, semplicemente a vivere. Leoni è un pezzo assurdo, è un pezzo tragico travestito da comico, è qualcosa che appartiene a tutti.

(Lions) 

Created and performed by Matteo Fantoni

This show is supported for 2010/11 by Network Nazionale Anticorpi XL

Leoni is a debut.
It is the first performance of the piece which Fortunato (Lucky) Fiorucci (the character) has been working on for over five years in his garage. It is the fruit of his daily courage training exercises. Fortunato helps himself along however he can, he eggs himself on with music, he protects himself: will he only be able to conquer greater fears by becoming sure of himself?
So here is the fruit of years of solitary labour, of nightly training, of rehearslas, conquests, errors and examinations, the aim perhaps simply to live. Leoni is an absurd piece, it is a tragic piece disguised as a comic one, it is something which belongs to everyone. 


P  h  o  t  o  s     A  n  d     S  m  a  l  l     P  r  e  s  s
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Affrontate o rivelate: le paure al Centrale Preneste


Leoni, un meta-spettacolo di poco più di un quarto d’ora e tre canzoni, è, come spiega lo stesso Fantoni, un debutto, la presentazione di cinque anni di duro lavoro, in garage, non su una moto o su una macchina, ma su un qualcosa di ben più complesso: se stesso.
Cinque anni spesi ad affrontare le proprie paure e i propri limiti, creando una sorta di routine del rischio divisa in tre mini-atti (il rischio dell’esibirsi, il rischio acrobatico, il rischio del ricordo di fallimenti passati), accompagnati da altrettante canzoni.
Molto significativo e tematico è il modo in cui il protagonista si presenta al pubblico: salvo che per un paio di pantaloncini, l’attore Fantoni è praticamente nudo, così come a nudo sembra essersi messo il suo personaggio, Fortunato, proponendo pubblicamente la sua routine quotidiana, quella che gli permette, ogni giorno, di sentirsi vivo e non schiacciato da un’esistenza altrimenti opprimente.
Ma è chiaro che il processo di conquista di Fortunato su se stesso è -e chissà per quanto ancora lo sarà- in divenire. Il suo corpo sembra un tutt’uno con il casco da ciclista, le ginocchiere, le gomitiere, i guanti e le scarpe di gomma: protezioni sicuramente eccessive per quel che poi andrà a fare.
Leggerezza e ironia permeano questo quarto d’ora di azioni mute, in sé banali, ma che assumono tutto un altro sapore se osservate nel contesto creato dall’autore-regista-attore.

di Pietro Dattola - 21/12/2011 – www.pensieridicartapesta.it

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Festival Exister di danza contemporanea, edizione 2011: Destinazioni. 

Giovane, italiana contemporanea e ironica.

 
[…] Infine assistiamo a LEONI, in cui Matteo Fantoni dà vita ad un fragile amatoriale che trova nella danza il modo per superare i propri limiti e trovare un momento di abbandono e che con coraggio presenta sulla scena (con l’agitazione e la commozione di un debutto sul palco) la sua composizione. L’ironia dell’interprete e la sua delicatezza tratteggiano l’umanità del personaggio che si fa portatore di quel desiderio universale di abbandonarsi, dimentichi dei propri limiti, per trovare nella musica, nella danza, nella scena, nella comunicazione con una platea, nelle parole di una canzone, un momento di riscatto e di esistenza più vera della irrealtà del quotidiano. [...]
E in questo momento di crisi delle arti performative, fiaccate da politiche che non si occupano di garantire la sopravvivenza dello spettacolo dal vivo (come ha sottolineato con responsabilità all’inizio della serata la curatrice dell’evento), vedere realizzato sulla scena il disperato bisogno che ha l’uomo di fare teatro, di danzare, di alzare la musica fino ad assordare se stesso e lo spettatore, è un urlo di resistenza intelligente e semplice, come forse tanta cultura di ricerca ha dimenticato di poter essere, per arrivare all’emotività del pubblico meno consapevole. E le reazioni della platea, tra il pianto e la risata, fanno riflettere sulla possibilità che ancora ha la scena (anche quando rinuncia a confrontarsi con la complessità della parola o dell’astrazione gestuale) di essere catarsi per le emozioni condivise di un pubblico.
“La gioventù sorride senza ragione. È una delle sue grazie maggiori”, recita la citazione di Wilde proposta per introdurre la serata. Si ride molto, in tutti questi pezzi, ma la ragione del sorriso è assolutamente ragionevole e condivisibile: si sorride nel ritrarre l’umano, nelle sue declinazioni più buffe e fragili.
A detta di molta della nostra psicologia contemporanea la depressione (in inquietante crescita nella società liquida dell’incertezza) annulla l’umorismo; ma l’ironia, trait d’union di quasi tutti questi pezzi, non può che essere colta come un segno di rincuorante salute di artisti che non hanno ancora rinunciato a ridere dell’uomo e delle sue incoerenze.

di Cosimo Attico  -  16 magg  2011 www.teatroguardato.blogspot.com


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I fiancheggiatori al Kilowatt Festival, sguardi critici obliqui

Tre spettacoli al maschile, tre monologhi: il primo è un assolo per attore, il secondo affidato a un giovane danzatore, Matteo Fantoni, in “Leoni”, autore anche della coreografia, una sorta di anti-espressiva danza, giocata più sul caratterizzare un’auto ironia, una ricerca di movimento non estetico, a tratti volutamente ingenuo, per apparire ciò che uno vorrebbe essere ma non è. Una lotta contro una società edonistica, alla mancanza di spazi per agire (esteriormente –interiormente) con la giusta dose di riflessività e calma. [...] Uno sforzo vitale nel tentativo di esorcizzare la paura di non emergere, di non farcela, di rimanere schiacciati da un peso esistenziale che chiede di essere quasi dei superman.

di Roberto Rinaldi - 03 agosto 2011  -  www.rumorscena.it
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Kilowatt 2011 - Diario di un fiancheggiatore


"Leoni" – su cui i fiancheggiatori non hanno opinioni concordi – è un piccolo spettacolo di teatro fisico che nella sua fragilità ha una rara poesia. Fantoni con la sua danza, a tratti volutamente sgraziata, si allena al coraggio che la vita sembra pretendere, per ribaltare, come in un salto mortale, il senso di inadeguatezza, la paura, la fatica. Lo fa sul filo del commento mimetico gestuale, nella tessitura di un récit fisico emotivo dalle sfumature ironiche, comiche tragiche appassionatamente coniugate.

Simona Polvani  -  30 Lug 2011   -   www.klpteatro.it


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La forza dei leoni per affrontare la vita

SANSEPOLCRO – “La sera leoni, e la mattina coglioni” (detto popolare) “Sono un eroe, perché lotto tutte le ore. Sono un eroe perché combatto per la pensione. Sono un eroe perché proteggo i miei cari dalle mani dei sicari dei cravattai. Sono un eroe perché sopravvivo al mestiere. Sono un eroe straordinario tutte le sere”. (Caparezza, “Eroe”) Hic sunt leones. Magari. Non ci sono più gli uomini di una volta. E meno male. Questo presuppone che il machismo stia andando in cantina, chiuso in soffitta, con gli inevitabili scombussolamenti e smottamenti sia per la parte femminile, nostalgica, che per quella maschile tutta pizzi, merletti e smalti. Ma tant’è. Un omino dei plamobyl si para davanti. Ha casco come se fosse un minatore o un cantierista, ha gomitiere da skater, ginocchiere da pallavolista, pancera schienale da motociclista. Può essere scambiato per un boxer, un alpinista, un paracadutista. Comunque sta per approntarsi verso qualcosa di rischioso, di pericoloso: la vita. Sembra pronto per la caduta, per il massacro, per il fallimento. Oppure si prepara per attutire il dolore, paradosso, si barda per esorcizzare la paura, la tensione del trapezista, la corda dell’equilibrista. E’ pronto, è coperto, ha la sua armatura che nei confronti della vita a poco serve. E’ fallace nei rapporti umani, risulta deficitaria nell’affrontare la quotidianità, risulta scarsa e scarna confrontando progetti e speranze con l’attuale realtà, è dimissionaria davanti allo specchio che, imperturbabile, riesce sempre a ricreare la solita immagine perdente. Il danzatore ha il suo aspetto fragile, demodè, fuori luogo in confronto a tutto lo strapotere di arroganza mediatica, di parlantina che affascina, di pettorali che esondano da camicie slacciate, di presunzione tronfia, di sorrisi hollywoodiani da dentifricio smagliante. Il personaggio è sgraziato, sgrammaticato, pieno d’imperfezioni, per questo parteggiamo per lui. Ci rivediamo in quelle movenze sbilenche, nelle rincorse dai salti abortiti, nel gelo, nel parkinson d’indecisione che prende di fronte al bivio, alla decisione ultima, alla fottuta paura dell’errore. E quei salti minimi verso un cielo bassissimo hanno dentro un ché di liberatorio e grandioso, un balzo, anche se misero, verso l’elevazione, un guizzo sul domani meno terra-terra, un lascito zavorrale per essere finalmente se stessi. O per avere consapevolezza, e quindi fortezza, dei propri limiti, prima posizione per il loro superamento. Il nostro imbottito traccia una linea tra ciò che è e ciò che vorrebbe essere, tra quello che pensa di sé e quello che crede che gli altri vedano in lui, e scopre, con un sorriso leggero, che la verità sta in mezzo e che gli altri pensano infinitamente meno a noi di quanto noi stessi pensiamo che facciamo. A quel punto librarsi e saltare diventa non una costrizione né una scelta ma il lancio naturale dal nido per imparare a guardare le cose da un punto di vista più distante, un panorama distaccato, capendo che tutto poteva essere molto più semplice. Che la timidezza, il sentirsi fuori posto è la sintesi della poesia, di una carezza delicata. "

Tommaso chimenti
mercoledì, 03 Agosto 2011, Corriere nazionale, http://www.corrierenazionale.it

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Tutto da rifare se (non) accade il teatro
Spunti d'autunno a partire da Kilowatt Festival 2011

Ma solo due figure solitarie, abitanti le piccole camere in cui si muovono Matteo Fantoni in Leoni e Marco D’Agostin in Viola, son riuscite a toccare davvero quel «punto» che apre al teatro. Il primo traccia la linea sottile di un personaggio, ma è pretesto per costruire una coreografia del desiderio e del coraggio dove l’inconcludenza e l’inevitabile inefficacia del gesto – l’impossibilità del volo – libera dentro lo scarto visibile tra pensiero e azione una poesia della possibilità, che appare tanto più grande quanto più lontana. [...]
    Ciò che accomuna questi due lavori, dalla prospettiva posta in precedenza, non è altro che la presenza, più o meno intensa, dentro l’organizzazione dello spettacolo, di un passaggio. Il punto in cui ci si smarrisce è impercettibile, è un punto di confine tra racconto e astrazione, tra emozione e cura del gesto, tra disciplina e libertà. Ma un punto non si può perimetrare: sta dentro quella possibilità che il performer e lo spettatore hanno di incontrarsi nelle domande comuni, domande a cui non vi è risposta se non nella ricerca individuale. A volte pare più chiaro di altre come alla base di tutto occorre che ci sia l’imposizione di una questione, la sua urgenza, e il suo porsi attraverso le forme necessarie all’inseguimento di una poetica.

Alessandra Cava  -  10 ott 2011 -  www.altrevelocità.it
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[...] E’ quindi la volta di Matteo Fantoni. Il suo “Leoni” appartiene a quel filone di comicità tragica caro ai migliori clown; sussurra le emozioni della vita, le accenna con brevi gesti, si fa grande di piccole cose. E conquista il pubblico con la sua ingenuità e semplicità dichiarata. 

Stafania Zepponi - 20 apr 2011 - www.klpteatro.it

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Ammutinamenti per la giovane danza italiana

[…] C'è in alcuni la tendenza al surreale, all'ironico, allo sketch elegantemente comico. Penso alla "cuoca" Martina Cortelazzo che duetta con un vero pollo e all'esilarante Matteo Fantoni, un "danzatore" velleitario da garage, in cui molti di noi possono rispecchiarsi. Ben venga la voglia di ridere e sfiorare gli aspetti più teneramente surreali della vita. Anche qui però l'intuizione deve andare di pari passo con la qualità del gesto e dell'esecuzione, per fare in modo che il mix abbia un suo valore creativo e che meriti un eventuale investimento.

 silvia poletti  - 08 ott 2010 - http://delteatro.it




Festa Mesta

Tre considerazioni del tutto incoerenti con questo spazio [...]. La terza: il danzatore/performer Matteo Fantoni è un genio.

Alessandro Fogli   -  7 ott 2010  -  http://www.ravennaedintorni.it  



















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